CAPITOLO II - DINAMICA STORICA DEL MOVIMENTO OPENSOURCE: 4. LA CROCIATA DI STALLMAN

Avevamo sospeso la nostra ricostruzione storica ai primi anni 80, con l’avvento del personal computer e del nuovo mercato (non più di nicchia) che va ad accaparrarsi. E’ proprio in questo periodo che appunto si innesta l’opera di Richard M. Stallman: abile ed esperto programmatore indipendente, appartiene a quella prima generazione di hacker e ne rappresenta lo stereotipo integerrimo e incontaminato. Questo suo essere un uomo ‘tutto d’un pezzo’ è la caratteristica che da un lato gli permette di potersi innalzare a massimo portavoce della comunità hacker di quel periodo, ma dall’altro – come vedremo – gli causa grandi problemi di convivenza nella gestione dei progetti concreti. Nel 1983 egli è il primo ad avvertire repulsione per quel nuovo modello d’informatica che andava a configurarsi; ed è il primo a muoversi concretamente e visibilmente nella direzione del risveglio delle coscienze di coloro che l’informatica l’avevano simbolicamente partorita. All’epoca egli poteva già vantare (oltre ad una laurea in fisica cum laude) una decina d’anni d’esperienza come programmatore, dato che già nel 1971 era stato assunto nel laboratorio di Artificial Intelligence (AI lab) del MIT. In quegli anni aveva avviato la prassi di distribuire gratuitamente e liberamente i suoi programmi, incoraggiando chiunque a modificarli e migliorarli: fu questa la sorte dell’Emacs, il diffusissimo programma di videoscrittura da lui stesso creato, che portò alla genesi della “Comune di Emacs”, una specie di catena di utenti che avevano come unico obbligo quello di diffondere a loro volta liberamente le modifiche apportate. E’ ben intuibile ora come mai un personaggio del genere abbia messo in atto la più ferrea ribellione contro i nuovi criteri di diffusione del software: di fronte allo scorrere inevitabile di quegli eventi, Stallman si sentiva l’ultimo vero hacker sopravvissuto al cambiamento del suo habitat naturale.

Sempre nel 1983 decide dunque di abbandonare il MIT, per dedicarsi a lungimiranti progetti personali che tenessero in vita lo spirito hacker a cui tanto era affezionato: primo fra tutti, la realizzazione di un sistema operativo di tipo Unix che fosse però dall’impostazione esclusiva del copyright e distribuibile liberamente. Nasce appunto il Progetto GNU, acronimo ricorsivo che sta per Gnu’s Not Unix (Gnu non è Unix) con un’espressa vena di antagonismo e di sfida, il quale appunto avrebbe dovuto coinvolgere migliaia di irriducibili e condensare le conoscenze e gli sforzi condivisi nel nuovo sistema operativo.

Ovviamente tutti i potenziali “adepti” avrebbero dovuto poter avere un punto di riferimento unico che si facesse portavoce e mecenate dell’impresa; nasce così, sempre per opera di Stallman e sotto la sua stretta supervisione, la Free Software Foundation: un’organizzazione no-profit mirata alla raccolta di fondi, al coordinamento dei progetti e alla sensibilizzazione del popolo dell’informatica. Nei primi anni di vita entrambi i progetti (che si potrebbero considerare come due manifestazioni di un unico progetto) faticarono ad ingranare, a causa della già accennata situazione di frammentazione della comunità degli informatici. Le cose cambiarono invece con la raggiunta maturazione della rete telematica: quando infatti Internet verso la fine degli anni 80 iniziò a connettere stabilmente un numero cospicuo di utenti, il messaggio della Free Software Foundation (FSF) poté raggiungere gli hacker di vecchio stampo sparsi per il mondo, che erano rimasti anch’essi disorientati e isolati dal cambiamento. Il seme della rivoluzione (anzi, della c o n t r o - r i v o l u z i o n e  ) ‘scongelato’ – per così dire – da Stallman dopo un periodo di ibernazione, poteva infatti trovare solo nelle coscienze dei singoli appassionati (e non certo nelle lobbies di potere dell’imprenditoria tecnologica) il terreno fertile di cui aveva bisogno per svilupparsi.



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