CAPITOLO II - DINAMICA STORICA DEL MOVIMENTO OPENSOURCE: 9. LA TEMUTA DIVISIONE

Alcuni personaggi di rilievo che si erano imbarcati in questo progetto, iniziarono a muoversi per predisporre tutto affinché la nave arrivasse in porto eventualmente anche senza il benestare di Stallman. I nomi che maggiormente destano attenzione erano quelli di Tim O’Reilly, editore di manuali informatici, e soprattutto Eric Raymond, attento osservatore della cultura hacker e grande personalità all’interno della comunità. Entrambi avevano da poco collaborato, assieme a Linus Torvalds, al progetto di ‘liberazione del sorgente’ di Netscape Navigator, creando una famosissima licenza (la MPL, Mozilla Public License) alternativa a quella redatta da Stallmann per la distribuzione dei prodotti GNU (la GPL, General Public License). La MPL era risultata più funzionale al caso Netscape (oltre che epurata da componenti ideologiche) ed parsa subito ben accetta alla comunità hacker mondiale. Sull’onda di questo successo Raymond, O’Reilly e altri opinion leaders crearono un gruppo di lavoro per riuscire ad escogitare la congeniale chiave con cui presentarsi alle imprese e accedere così sul mercato. L’avvento di Linux aveva rappresentato, d’altronde, l’emersione di una nuova generazione di hacker, che ormai erano cresciuti in un mondo in cui il software proprietario era la normalità. Ciò comportava che essi non sentissero il retaggio etico di coloro che avevano visto la scienza informatica negli anni d’oro della totale libertà; a questi nuovi hacker (che forse dovremmo chiamare più semplicemente ‘programmatori indipendenti’) non premeva tanto l’aspetto ideologico della libertà, quanto quello f u n z i o n a l e e p r a t i c o . In parole povere, la massima libertà anche nelle scelte: libertà anche di scegliere un software proprietario o un software libero a seconda di ciò che più è congeniale,senza dover rendere conto ai dettami di associazioni o guru più o meno carismatici. Williams riporta un dibattito sull’uso del programma PowerPoint di Microsoft che nel 1996 non aveva degni concorrenti, quanto a praticità ed efficacia: “Parecchi hacker Linux, compreso lo stesso Torvalds, erano cresciuti nel mondo del software proprietario. A meno che un programma risultasse chiaramente peggiore, la maggior parte di loro non vedeva alcun motivo per rifiutarlo solo per il problema della licenza”. Ad ogni modo, la prima ‘scelta di campo’ di Raymond e colleghi fu proprio coniare un termine che identificasse in modo limpido, neutrale ed accattivante il tipo di prodotti che si offrivano.

Ci voleva qualcosa che sottolineasse, piuttosto che gli aspetti etici e gestionali del software liberamente distribuito, le sue caratteristiche tecniche più interessanti: ovvero, la m a l l e a b i l i t à e la specificità, che rendevano i programmi decisamente più affidabili, meglio modificabili e personalizzabili e quindi più efficienti ed economici. Michael Tiemann, uno del gruppo, propose ‘s o u r c e w a r e ’, mettendo per primo l’accento sulla centralità del codice sorgente. La proposta non convinse, dunque Eric Raymond tirò fuori dal suo cilindro magico il termine composto ‘o p e n s o u r c e ’ , che aveva già usato informalmente e con segni di approvazione ad un recente congresso. ‘Open source’, ad un sguardo attento, mantiene in parte una sfumatura di matrice etica, per il riferimento al concetto di ‘apertura’ (open) che appunto è col tempo uscito dal suo senso puramente tecnico (‘aperto’ nel senso di ‘codice disponibile e modificabile’), assumendo una connotazione più ampia (‘aperto’ nel senso di ‘privo di vincoli’ tout court). Raymond nel ’98 propose inoltre la creazione di una organizzazione che vigilasse sul corretto uso del termine ‘open source’ e coordinasse i vari progetti: la Open Source Initiative (OSI). In pratica, con un immagine matematica, la OSI sta al concetto di ‘open source’ come la FSF sta al concetto di ‘free software’. Due distinte e rilevanti strutture organizzative per progetti che nella maggior parte dei casi andavano verso la stessa direzione. Il canone dell’unità e della cooperazione poteva essere ormai depennato dalla lista dei punti cardine dell’etica hacker. Come reagì a tutto questo Stallman? Purtroppo accentuando la sua inflessibilità e allargando così la crepa che si era formata all’interno dell’edificio hacker.

Nel 1998 aveva subito chiarito la sua posizione sul nuovo gergo emergente: “open source, pur risultando utile nel comunicare i vantaggi tecnici del software libero, al contempo finiva per allontanarsi dalla questione della libertà nel software. Considerando questo un aspetto negativo, egli avrebbe continuato a usare il termine ‘free software’.” Intraprese perciò una campagna di sensibilizzazione per invitare i colleghi hacker a opporre resistenza alle “lusinghe dei facili compromessi”. Fu purtroppo questo rigido approccio di Stallman ad innescare un confronto ideologico che la OSI non aveva mai avuto intenzione di innescare.



Open Source e opere non software:

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